Favignana vecchi amici granite e cous-cous
Favignana, vecchi amici, granite e cous-cous
E’ mercoledì mattina del 29 luglio, facciamo il bagno mattutino nella “solita” acqua turchese ma anche in mezzo alle piccole meduse bastarde. Poi colazione e molliamo il gavitello per il nostro giro dell’isola con tappa alla famosa Cala Rossa prima di atterrare al porto di Favignana dove passeremo la notte.
Cala Rossa merita la fama per i colori turchesi e il paesaggio ma in questa stagione è talmente piena che si fa fatica a trovare posto.
La tecnica del gavitello si sta affinando tra le varie best practices. Michela è bravissima nella presa iniziale, Alberto e Lori portano la cima verso prua mentre la barca lentamente si gira. La mia personale quando navigo in equipaggio ridotto, anzi ridottissimo è comunque quella di andare di poppa controvento avendo già preparato una cima lunga una volta e mezzo la lunghezza della barca, fissare un capo della cima alla bitta di prua e preparare l’altro capo a poppa (passando tutto all’esterno) con il quale prendere il gavitello, poi portare tranquillamente questo lato a prua da fissare alla stessa bitta facilitando la rotazione della barca.
Ovviamente la difficoltà e l’attenzione alla manovra sono influenzate dalle condizioni ambientali soprattutto in caso di forte vento. In questo caso meglio lasciar perdere la rotazione della barca ma assicurarsi con le cime fissate alle bitte di poppa e procedere con la rotazione appena possibile.
Se invece avete la prua bassa o uno di quei mezzi marinai fichissimi che fanno passare la cima nell’anello potete evitarvi tutte queste fatiche. Un oggetto come questo può costare anche 150,00 euro.
A Favignana incontriamo Giancarlo, un vecchio amico di Milano, con sua moglie Franca. Ormai in pensione, si sono ritirati da anni a Trapani, ma trascorrono tutta l’estate nella casa di famiglia a Favignana. Ci portano nel “miglior bar di Favignana” per una granita fantastica.
La visita alla tonnara è imperdibile, una di quelle cose che “da sole giustificano il viaggio”, scoprire che nell’ex Stabilimento Florio, ai tempi della sua piena attività, c’erano più di ottocento lavoratori e lavoratrici che si occupavano della pesca e della conservazione del pescato e che all’interno dello stabilimento erano stati previsti asilo per i bambini, permette di capire come la famiglia Florio abbia costituito per decenni la principale fonte di sussistenza economica per gli abitanti dell’isola, ma non solo. Furono una delle più ricche e nobili famiglie d’Italia, protagonisti del periodo della cosiddetta Belle époque.
La vicenda storica della famiglia, di origini calabresi, si svolse nella ricca Palermo degli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo, una storia ricca di aneddoti che ha ispirato libri e film. Da non perdere la visita guidata anche alle cantine Florio di Marsala, dove seguendo il racconto della guida, ci si immerge in un’atmosfera risorgimentale, con la storia della famiglia che si intreccia con lo sbarco dei Mille, con lo stesso Garibaldi che, aiutato dai Florio e dagli inglesi, arriva a riposarsi proprio nelle loro cantine.
“Alla fine del 1800 il nome Florio genera rispetto e venerazione. Ma non solo: incarna il sogno dell’industria siciliana di poter competere e addirittura superare l’imprenditoria del Nord. Negli anni a cavallo dei due secoli, la Sicilia divenne una delle più frequentate stazioni climatiche. Palermo allarga i suoi confini, si apre alle relazioni con le altre capitali europee. Nobili, principi e imperatori arrivano da tutta Europa a svernare nella nuova capitale. È la stagione del risveglio culturale di Palermo, una città moderna in cui la borghesia sceglie l’art nouveau, conosciuta meglio in Italia con il nome di “Liberty” per realizzare teatri, ville e palazzi. La città ospita convegni artistici e commerciali. Non c’è festa, riunione pubblica o privata senza rappresentanti di casa Florio. È la belle époque: all’alba del ventesimo secolo il mondo occidentale guarda con fiducia e ottimismo al futuro, sicuro che progresso, benessere e pace caratterizzeranno il nuovo secolo.” (Wikipedia)
Oggi la Tonnara di Favignana è un pezzo di storia trasformato in un bellissimo museo di archeologia industriale. Qualche anno fa è stato pubblicato un bel libro, “I leoni di Sicilia” che racconta la saga della famiglia attraverso le generazioni. Particolare è la storia di Franca Florio, moglie di Ignazio, chiamata “Donna Franca” o anche la Regina di Palermo, il Kaiser Guglielmo II la soprannominò Stella d’Italia, mentre Gabriele D’Annunzio la definì “l’Unica”. Sembra che fu proprio lei ad introdurre norme di tutela dei lavoratori all’interno di tutti i stabilimenti Florio: assistenza sanitaria, asili nido per le lavoratrici, riconoscimento degli straordinari. La classica figura di nobildonna illuminata del tempo, filantropa e benefattrice.
Favignana è anche storia millenaria, qui si svolse la battaglia delle Egadi in cui i Romani sconfissero i Cartaginesi nella Prima Guerra Punica; durante la seconda guerra mondiale divenne un’isola fortificata con casematte e fortificazioni varie, tutte ancora visibili.
Ma Favignana è soprattutto la storia della pesca del tonno. Durante la visita al museo della tonnara dei Florio vi diranno come fino agli anni ’50 la media dei tonni uccisi fosse intorno ai 10.000 esemplari con pesi medi di circa 300 Kg. Circa dieci anni fa fu tentata un’altra mattanza, ma non furono presi più di 200 tonni con un peso medio di 25 Kg, si decise allora di liberarli e fu sospesa ogni attività di pesca industriale.
Qualcuno sarà contento di questa fine in nome della protezione e dell’amore verso gli animali. In realtà queste pratiche erano millenarie, per secoli non hanno mai messo in crisi l’ecosistema ed erano parte fondante dell’economia e della comunità. I tonni sono spariti per colpa della pesca intensiva in oceano, i tonni sono spariti perché dall’Oceano non ce la fanno più ad arrivare in Mediterraneo, i tonni sono spariti per l’inquinamento e le reti abbandonate in cui loro, e non solo, restano impigliati.
A Favignana il tonno è cultura e rispetto del mare, non veniva mai preso e ucciso un tonno sotto una certa taglia, il percorso verso la “camera della morte” aveva delle uscite proprio per i più piccoli e se qualcuno comunque finiva al centro, veniva liberato. Se oggi dovesse capitare la fortuna di prendere un tonnetto alla traina, cuciniamolo pure, non è certo colpa di quella lenza se il tonno sparisce, ma evitiamo di vantarci troppo.
A cena andiamo al tempio del cous cous di pesce, sempre “raccomandati” da Giancarlo, al ristorante “la Bettola”.
A mezzanotte, già in barca, ci prende una voglia irrefrenabile di cannoli, Alberto, detto “yachtmaster”, sollecitato e spinto dal “forte vento” di Enza, trova la giusta rotta per beccare una pasticceria aperta e così concludiamo con cannoli e due bicchieri di Porto fresco di frigorifero prima di andare a nanna.
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