Una traversata impegnativa del Tirreno
Molliamo gli ormeggi dalla darsena di Fiumicino alle ore 12:00 di sabato 20 giugno, alcuni amici sono venuti a salutarci, c’è una bella atmosfera, le previsioni danno al massimo 20-25 nodi raffiche da NW, non sarà una passeggiata, ma queste condizioni di mare e di vento le ho affrontate infinite volte. Negli ultimi tre giorni ci siamo affannati con i preparativi e abbiamo fatto sempre molto tardi la sera. Purtroppo non sono riuscito ad avere neanche quelle due settimane prima della partenza che avrei usato per provare la barca e testare tutte le nuove installazioni: la trinchetta, il dissalatore, il sistema di ricarica delle batterie, i nuovi strumenti, il VHF con DSC, l’AIS, i nuovi cartografici, il nuovo sartiame e le regolazioni. Come al solito mi affido alla mia capacità di gestione, alla mia esperienza e alla mia buona sorte.Finiamo di mettere a posto la cambusa, carichiamo il tender, facciamo un caffè e un aperitivo per tutti, cerco di fare un briefing con l’equipaggio, ma ci sono troppe persone che girano e ci si distrae facilmente. I saluti sono piacevoli ma in queste situazioni sarebbe meglio non avere nessuno.
L’equipaggio è formato da Marco, Silvia, Gianni e Antonio. Mi sembra un buon equipaggio, Gianni e Marco hanno qualche esperienza di navigazione di altura.
Mentre ci allontaniamo lentamente dalla banchina, salutiamo ancora una volta chi è venuto a salutarci. Andrea e Loredana ci seguiranno in diretta sulle piattaforme di monitoraggio dell’AIS.
Arriva anche Giuseppe che saluta con un urlo da lontano, che echeggia e rimbomba per tutta la darsena; lui partirà nei prossimi giorni per lo stesso giro ma al contrario, il suo sarà un giro del Tirreno in senso orario. Oggi è sabato e le barche agli ormeggi sono affollate di velisti e la nostra partenza ha l’aria di essere speciale, tutti ci guardano e anche se non li conosciamo ci lanciano un saluto e un “buon vento” per la traversata.
In effetti il vento lo incontriamo subito ma non è decisamente quello “buono” che mi aspettavo.
Appena usciti dal fiume ci rendiamo subito conto che c’è mare formato con 30 nodi reali da NW. Qualche ora più tardi anche Giuseppe si affaccerà all’uscita del fiume diretto a Civitavecchia per gli ultimi lavori ma, più saggio di me, tornerà indietro e rimanderà la partenza.
All’inizio facciamo rotta 290° per cercare di guadagnare miglia verso nord ma il vento cambia e ci spinge a Sud, quindi decido di virare con rotta 240° sperando di non scadere troppo a Sud e di poter risalire nelle ore successive. Non abbiamo montato la trinchetta confidando nelle previsioni che davano raffiche massimo di 25 nodi. Riduciamo notevolmente la velatura con tre mani sia alla randa che al Genoa. Organizziamo i turni su tre persone (io, Marco e Gianni) di cui due sempre in pozzetto e solo una di riposo sottocoperta. Silvia e Antonio restano all’interno delle cabine e sono esentati dai turni.
Alle ore 20:00 il mare cresce ancora, si toccano punte di 35 nodi, ormai è vento da ponente, lo assecondo evitando la bolina troppo stretta e andiamo sempre più a sud.
Alle ore 02:00 di notte le raffiche arrivano a 45 nodi, mare molto formato, onde in aumento, siamo nel pieno della burrasca, siamo esausti, decido di metterci alla cappa ma non ci riesco e non capisco perchè, con il faro faccio luce verso prua e mi viene un colpo al cuore, il Genoa si è aperto in due, è a brandelli.

vela strappata

il genoa strappato, nel marina di Olbia apriamo la vela per verificare i danni.

E’ il momento di dare fondo a tutte le energie possibili, soprattutto a quelle emotive, le emozioni vanno gestite, dobbiamo andare avanti, mettere in fila le idee e reagire. Non bisogna neanche farsi sopraffare dalla troppa adrenalina, si rischierebbe di crollare al primo momento di rilassamento.

Decidere di mettersi alla cappa è già una decisione difficile, è una manovra che si fa per prendere fiato, quando ti rendi conto che il Mare è più grande di te, che non ce la fai e non puoi più andare avanti in sicurezza. Se arrivi a questo punto e ti accorgi che questa manovra, di estrema di difesa, non puoi farla, allora rischi la disperazione.

tirreno

Provo a spigare per chi ha meno esperienza cosa significa mettersi alla cappa  (tratto da barche.it):
Esistono due tipi di cappa: la cappa filante e la cappa secca. In realtà, se si è costretti a mettersi in cappa, di solito si tratta proprio di quella secca, ossia senza alcuna vela issata.

Cappa filante

Cappa filante (da barche.it)

Quella filante invece prevede che la randa sia ridotta, con tre mani di terzaroli e trattenuta sottovento, mentre il fiocco, sia bordato a collo, ossia che subiscano la pressione del vento con la scotta cazzata sopravento. Infine il timone deve essere fissato all’orza.
In questo modo la barca riceve il mare al mascone mentre procede molto lentamente scarrocciando sottovento, non completamente nella direzione del vento, ma un poco a proravia del traverso. Se invece siamo in condizioni di prendere una cappa secca, vuol dire che siamo davvero nei guai.

cappa secca

Cappa secca (da barche.it)

Cappa secca. La barca è a secco di vele, il timone fissato all’orza e scarroccia sottovento creando una remora che contribuisce a ridurre i frangenti sopravento. In alcuni casi, per mantenere il mascone alle onde, si possono filare dei cavi a prua sopravento
In alcuni casi potrebbe essere utile la messa in acqua di un’ancora galleggiante filata a una distanza di 30 40 metri da prua.
Una volta assunto questo assetto, l’equipaggio non ha molto da fare in coperta, e solitamente si rifugia all’interno.

Cappa panna

Panna (da barche.it)

Panna. Non si tratta di un’andatura per cattivo tempo ma di un assetto che si realizza con tutta le vela a riva, rada in bando e fiocco a collo. In questo modo la barca si ferma, scarroccia sottovento avanzando lentamente. E’ utile per fermarsi, anche per prendere una mano di terzaroli, ma non in caso di tempo veramente cattivo

(la spiegazione del tipo di cappa e le illustrazioni sono tratte da barche.it)

Ci aiutiamo con il motore e riusciamo a chiudere il Genoa con molta difficoltà. Una piccola parte della vela strappata resta svolazzante. Continuiamo con la sola randa tutta terzarollata, c’è rimasto solo un piccolo triangolo di vela che esce dall’albero. Ci troviamo a 40°40.368’N 10° 46.129’E, cinquanta miglia circa di distanza dalla costa della Sardegna. Sono le 03:00 e la notte è ancora lunga, il mare è impressionante e la costa è ancora lontana. La notte continua con le onde che invadono la tuga e arrivano in pozzetto, chi sta al timone è legato e continuamente investito dall’acqua, il giubbotto salvagente è obbligatorio per chi sale in coperta, un’onda entra sottocoperta per il tambuccio lasciato per un momento di troppo inavvertitamente aperto, siamo tutti molto stanchi; la barca è sottoposta a uno stress immeritato. Chiudiamo anche l’ultimo spicchio di randa, cerchiamo di prendere fiato con una cappa secca, poi riprendiamo a motore prendendo il mare al mascone.
Aspettiamo che il buio finisca, alle ore 4:45 arriva finalmente un po’ di chiarore e la navigazione comincia ad essere più confortevole.
Ore 6:30 ci stiamo avvicinando alla costa che in lontananza si confonde con le nuvole e il cielo, puntiamo su Budoni o San Teodoro, ma siamo stanchi di contrastare il mare, ci lasciamo portare dove è meno duro navigare, decido di puntare su La Caletta dove arriviamo a mezzogiorno con mare quasi calmo. Diamo fondo all’ancora davanti alla spiaggia di San Giovanni in pochi metri di acqua turchese.
Ci sentiamo dei sopravvissuti, il mare è calmo, l’acqua è turchese, la spiaggia di San Giovanni è bianca ed è un sogno. Scendiamo a terra sulla spiaggia deserta, ci sdraiamo al sole stremati, ci sentiamo naufraghi ma non lo siamo. Quasi ci addormentiamo. A bordo è tornato il buon umore, tutto è andato bene ma non sfuggo al confronto con i miei amici, devo ricostruire cosa è successo e come abbiamo affrontato gli eventi. Gianni e Marco sono stati bravi, non hanno mai mollato, ma bravi anche Silvia e Antonio che pur stando sotto coperta non hanno creato problemi ed hanno affrontato la paura nel silenzio delle loro cabine. Antonio di prima mattina, con il mare calmo ha preso in mano il timone facendoci riposare in vista della terra, due ore in cui abbiamo ripreso le forze.
La sera chiediamo un posto alla marina di La Caletta, costo 38,00 euro a notte. Passiamo la serata in paese nella pizzeria-ristorante “al Capriccio”, gestito da sole donne dove “tutto è buono, bello e baratto (economico)”, abbiamo mangiato degli spaghetti vongole e bottarga fantastici. Finalmente ci rilassiamo e ci sentiamo in vacanza.
La nostra traversata è finita, credo di avere imparato molto da quello che è successo e sento il dovere di chiarire molte cose, innanzitutto con me stesso.

 

Torna all’indice