Da Olbia navigando verso sud
Sabato 27 giugno, sveglia presto, sono tutti pronti per partire. Antonio dalle 5:00 è già pronto in pozzetto con le valigie anche se il suo traghetto partirà alle 12:00. Forse ha litigato con Gianni.
Marco e Silvia, vanno via, baci e abbracci, mi mancheranno, mi mancherà la simpatia di Silvia, mi mancherà la presenza propositiva di Marco, la sua energia, la sua allegria.
Ho fatto il bucato e la barca diventa per la prima volta una lavanderia con tutti i panni stesi alle draglie e alle scotte del Genoa. Questo sarà un rito che si ripeterà ogni weekend laddove non troverò una lavanderia automatica a portata di mano.
Alle 14:00 arriva Daria, le vado incontro per aiutarla con i bagagli. Gianni è sparito, dopo aver accompagnato Antonio al traghetto, è andato in giro per Olbia, probabilmente aveva bisogno di stare da solo. Sono convinto che in barca ognuno debba ritagliarsi i propri spazi personali e non mi dispiacciono le persone che ogni tanto si isolano. Anche per questo quando Daria si accomoda e comincia a parlare, parlare, parlare ….. devo difendermi, devo farle capire che non sono abituato a queste situazioni. Mi sdraio in pozzetto e mi addormento, mentre lei continua a parlare, ma poi capisce. Non voglio offenderla, ma sono davvero stanco ed ho bisogno di riposare, mi rifarò nei prossimi giorni.
Il velaio Campus ha smontato e riparato il Genoa ed io ho cambiato il bozzello della scotta della randa. Ho asciugato la sentina dove continua ad arrivare acqua, è acqua dolce, ancora non ho scoperto da dove arriva.
Prima di cena andiamo in centro per farci un aperitivo, offro io con piacere, Daria racconta la sua vita, racconta di un compagno da cui si è separata da poco, parla di sua figlia e del suo lavoro. E’ proprio vero che la barca è anche terapia, all’inizio vedo la gente prendere la “misura”, mettere in mostra il proprio lato positivo, poi con il passare dei giorni si comincia a parlare a ruota libera anche delle cose più intime, ed escono fuori amori, passioni, paure, dolori.

RICETTA: maccheroni alla norma
2 melanzane viola – 8 pomodori ramati – aglio -olio- basilico – ricotta salata qb -320 g rigatoni
Sale -zucchero -pepe – olio di semi di arachidi (per friggere)
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La pasta alla Norma è un primo piatto della tradizione catanese. Il nome della ricetta è un omaggio alla Norma, celebre opera del compositore catanese Vincenzo Bellini.Melanzane tagliate a cubetti, poi fritte e pomodoro, a cui si aggiunge basilico fresco e una grattuggiata di ricotta salata direttamente sul piatto di portata. In alcune varianti le melanzane vengono tagliate a fette.
Le melanzane vengono aggiunte all’ultimo sulla portata già impiattata: in questo modo non si sfaldano nel sugo, mantenendo croccantezza e sapore.
Il formato di pasta più adatto a questa ricetta è quello corto: sicuramente i rigatoni, ma qualcuno usa anche le penne.

Ho prenotato l’ormeggio per giovedì sera al Marina di Santa Maria Navarrese, non vedo l’ora di tornarci dopo più di 15 anni.
Il livello delle conversazioni con questi compagni di viaggio non è eccezionale, spero davvero che migliori nei prossimi giorni, non faccio l’animatore, lascio che le cose seguano il loro corso senza forzature, sperando che si crei la giusta empatia ma senza drammatizzare se questo non avviene.
Devo decidere la rotta e le tappe perché nei prossimi giorni ci sarà scirocco e non è l’ideale per andare verso Sud.
Vorrei evitare gli ormeggi a pagamento e stare sempre in rada o banchine al transito, ma l’equilibrio del mio viaggio prevede che almeno una volta a settimana io debba stare in un porto con un minimo di confort anche se dormire in rada è la cosa che amo di più. Continuo a sfottere Gianni per il suo essere così osservante delle tradizioni ebraiche ma lo faccio senza cattiveria e comunque senza mancargli mai di rispetto. Avere un compagno di viaggio ebreo praticante è anche un’occasione per parlare di Dio e del mio essere ateo, di Israele e dei palestinesi, dei diritti di entrambi i popoli. Vado avanti con il mio libro e sono sempre più convinto che tutti i credenti, ebrei e cristiani ma non solo, dovrebbero leggere Harari (che tra l’altro è un Israeliano!) con il suo libro “Sapiens. Da animali a dèi”.
In questi giorni ho imparato una bella espressione ebraica: “le chaim” è un saluto che letteralmente significa “alla vita”.

 

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